Ancora sulla NSS di Washington : la reazione russa.
La reazione ufficiale russa — e quella dei media vicini al Cremlino — alla pubblicazione della NSS è stata accolta con una certa soddisfazione: da un lato perché Washington sembra spostare il proprio baricentro strategico, declassando la Russia: il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato che il fatto che la Russia non venga più “esplicitamente definita minaccia” è “positivo”, un segnale di discontinuità rispetto alle amministrazioni precedenti. Questo cambio di tono da parte degli Stati Uniti viene interpretato come un riconoscimento implicito di ciò che Mosca riteneva da tempo: che la guerra in Ucraina non può essere eternamente animata da un’ottica di conflitto per procura, ma va considerata come un dossier da affrontare — e, prima o poi, chiudere — anche per un ritorno a relazioni strategiche fra grandi potenze.
Dall’altro lato, la sostanza del documento americano — come rilevano commentatori e fonti anche occidentali — mostra un mutamento nelle priorità: la NSS non tratta la Russia come principale avversario globale, ma pone l’accento su una riduzione del ruolo americano in Europa, un rafforzamento della deterrenza in patria, una ridefinizione degli alleati e una “selettività” negli impegni globali. In questo contesto, la decisione di Washington di “non vivere in eterno perennemente impegnata” a future espansioni dell’alleanza atlantica e di voler “ripristinare una stabilità strategica con Mosca” risulta – per il Cremlino — in linea con le sue richieste di fondo: quelle di tornare a un equilibrio geopolitico, senza percezioni costanti di minaccia che giustifichino un’Ucraina come campo di battaglia permanente.
Nei media russi, questa evoluzione viene letta come potenziale opportunità di lungo termine: l’ipotesi, più volte ventilata nelle analisi pro-Mosca, è che con una presidenza americana capace di perseverare su questo indirizzo — magari guidata dal vice attuale JD Vance — la Russia potrebbe aspirare a una normalizzazione delle relazioni con Washington. In effetti, già nelle dichiarazioni pubbliche di Vance si era manifestata, secondo Mosca, una maggiore apertura al dialogo: Vance aveva riconosciuto che la guerra in Ucraina era diventata un capitolo molto complesso, ma si diceva “ottimista” su possibili progressi verso la pace.
Nel discorso russo, questa convergenza di dichiarazioni americane e di strategia Usa viene valorizzata come una vittoria diplomatica: la Russia recupera un ruolo centrale, non come “nemico da isolare”, ma come interlocutore stabile con cui può ragionare su sicurezza, equilibrio strategico e ridefinizione dell’ordine internazionale. L’assenza di critiche dirette a Mosca nel documento della NSS — mentre l’Europa viene messa sotto accusa per declino, immigrazione, minaccia alla sua “civiltà” e debolezza militare — viene letta come un tacito riconoscimento delle ragioni russe e di una possibile rivalsa diplomatica e geopolitica.
Alla luce di questo, nella prospettiva russa la NSS americana si trasforma in qualcosa di più di un semplice cambiamento di strategia: è vista come un’occasione per costruire un nuovo equilibrio post-guerra in Ucraina, per evitare che il conflitto resti un errore permanente sulla scena internazionale, e per restituire alla Russia uno spazio di manovra con pari dignità nelle trattative globali. Non è un caso se i media e le dichiarazioni ufficiali russe sottolineano con favore la continuità che si potrebbe avere qualora la leadership Usa rimanesse stabile.
In definitiva la Russia — attraverso il proprio establishment e l’apparato mediatico — interpreta la nuova NSS americana come un riconoscimento implicito della sua posizione internazionale, un’opportunità per interrompere l’isolamento strategico e avviare un percorso di stabilizzazione diplomatica. In questo contesto, la fine della guerra in Ucraina non viene vista come mera resa o sconfitta, bensì come punto di svolta per ridefinire lo status globale di Mosca, in un mondo in cui gli Usa sembrano disegnare un’architettura di potenza “selettiva”.

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