La National Security Strategy e il suo impatto sull'Europa.



La nuova National Security Strategy pubblicata dalla Casa Bianca qualche giorno fa, rappresenta una delle più marcate inversioni di rotta della politica estera americana degli ultimi decenni. Fin dalle prime pagine emerge un’America che si ripiega sulle proprie priorità interne e ridefinisce il proprio ruolo nel mondo attraverso la lente dell’interesse nazionale, della protezione dei confini e della ricostruzione della potenza economica e industriale. Il documento non si limita a indicare linee generali, ma delinea una visione molto precisa: gli Stati Uniti vogliono concentrarsi sull’emisfero occidentale, ridurre la loro esposizione militare globale e ricalibrare le alleanze, in particolare quella con l’Europa, chiedendo una partecipazione più ampia e, soprattutto, più autonoma.

La strategia insiste fortemente sulla sicurezza interna, considerata la condizione indispensabile per qualunque azione internazionale. Immigrazione, traffici illegali, protezione delle reti digitali, difesa delle infrastrutture critiche e controllo dell’economia reale diventano i capisaldi dell’azione federale. Accanto a questo, si respira il ritorno a un concetto di sovranità quasi assoluta, che lascia poco spazio a meccanismi multilaterali e privilegia rapporti bilaterali o regionali in cui gli Stati Uniti mantengono pieno controllo. L’emisfero occidentale viene infatti definito come il centro strategico dell’azione americana: una sorta di riedizione aggiornata della logica della dottrina Monroe, in cui Washington riafferma di voler guidare e proteggere la stabilità del continente americano, dalle migrazioni ai traffici criminali fino alla sicurezza economica e alle catene del valore.

È però il passaggio sull’Europa a risuonare con particolare forza. La NSS non nasconde un giudizio critico sulle dinamiche demografiche, sociali e politiche del continente, arrivando a evocare la possibilità di un declino culturale ed economico se non verranno corretti alcuni trend, soprattutto in materia di immigrazione e coesione politica. Allo stesso tempo, la Casa Bianca afferma chiaramente che la NATO non può più essere considerata un’alleanza destinata a espandersi indefinitamente, mettendo implicitamente in discussione il paradigma di sicurezza europeo degli ultimi vent’anni. È un messaggio che suona come un monito a una maggiore assunzione di responsabilità da parte dei Paesi europei: se la sicurezza del continente è davvero una loro priorità, allora devono essere loro stessi a garantirla in misura crescente.

Questa posizione ha un effetto immediato sulla questione ucraina. Nella strategia, gli Stati Uniti manifestano la volontà di favorire una rapida conclusione del conflitto, privilegiando la ricerca della stabilità sulla prospettiva di una vittoria totale di Kiev. Il linguaggio è meno schierato di quanto sarebbe piaciuto alle cancellerie europee: si parla di “guerra in Ucraina” più che di aggressione russa, e non si accenna a un impegno indefinito a sostegno militare diretto. Da qui emerge l’impressione di una Casa Bianca intenzionata a evitare un’escalation e a ristabilire rapporti più prevedibili con Mosca, anche a costo di spingere l’Ucraina verso un negoziato più pragmatico. Questo spostamento di priorità apre uno spazio di responsabilità molto maggiore per l’Europa: se gli Stati Uniti iniziano ad arretrare, toccherà alle capitali europee sostenere Kiev non solo militarmente, ma anche politicamente ed economicamente nella ricostruzione post-conflitto.

Per l’Italia, tutto questo rappresenta un cambiamento di fondo. Il nostro Paese si ritrova in una posizione delicata ma potenzialmente decisiva. Il Mar Mediterraneo, che negli ultimi anni aveva beneficiato della copertura strategica americana, rischia ora di essere percepito come una regione meno centrale per Washington. Questo significa un incremento delle responsabilità italiane nella gestione della sicurezza energetica, nel controllo delle rotte migratorie e nella stabilità dell’Africa Settentrionale, aree che già oggi ci coinvolgono più di altri Stati membri. L’Italia potrebbe però trarre vantaggio da questa nuova configurazione: la riduzione dell’impegno americano in Europa potrebbe infatti favorire la nascita di una politica di difesa europea più concreta, nella quale il nostro Paese, grazie alla sua posizione geografica e alle sue capacità industriali, potrebbe ritagliarsi un ruolo di guida nel Mediterraneo e fungere da perno meridionale della sicurezza europea. Tutto dipenderà dalle scelte che Roma sarà disposta a fare: restare in un rapporto di tradizionale dipendenza strategica dagli Stati Uniti, seppure con un’America meno presente, oppure investire con decisione sulla costruzione di un’autonomia strategica europea che finora è stata più evocata che realizzata.

In definitiva, la nuova National Security Strategy segna un cambio d’epoca. Gli Stati Uniti non intendono ritirarsi dal mondo, ma vogliono che il mondo cambi il proprio modo di fare affidamento su di loro. L’Europa si trova così davanti a una verità che per anni ha preferito non vedere: l’ombrello americano non è garantito per sempre. L’Ucraina deve prepararsi a un futuro in cui l’appoggio degli Stati Uniti sarà più condizionato e meno automatico. L’Italia, infine, ha la possibilità di trasformare questa fase di incertezza in un’occasione storica per ridefinire il proprio ruolo internazionale. I prossimi anni diranno se il continente sarà in grado di raccogliere questa sfida, o se l’Europa rimarrà un attore frammentato in un mondo che si sta rapidamente riorganizzando.

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