1^ anniversario in Cina della cintura verde più lunga del mondo mai costruita dall'uomo

 



La recente espansione della cintura verde attorno al deserto del Taklimakan, completata a fine novembre 2024, per una lunghezza totale di 3.046 Km, rappresenta una delle più imponenti imprese ecologiche mai realizzate dalla Cina. Il Taklimakan, nel cuore dello Xinjiang, con i suoi 337.600 Kmq, è il più grande deserto del Paese e uno dei più insidiosi al mondo per l’estensione delle sue sabbie mobili. Circondarlo interamente con una fascia verde lunga oltre tremila chilometri significa non soltanto creare una barriera fisica contro l’avanzata della desertificazione, ma anche ridefinire il rapporto fra comunità umane, ecosistemi e sviluppo economico in una delle regioni più aride dell’Asia.




Il progetto non nasce dal nulla: si inserisce infatti nel più vasto Three-North Shelterbelt Forest Program, la “Grande Muraglia Verde” cinese, iniziativa avviata nel 1978 che coinvolge vaste aree del nord e dell’ovest del Paese allo scopo di frenare tempeste di sabbia, erosione del suolo e degrado ambientale. In questo quadro più ampio esistono altri esempi significativi. Il deserto del Kubuqi, in Mongolia Interna, è spesso citato come un modello internazionale di recupero ambientale: decenni di interventi mirati, piante resistenti alla siccità, infrastrutture irrigue e un mix di agricoltura, fotovoltaico e industria erboristica hanno trasformato una delle zone più degradate della Cina in un polo economico verde. Pur non raggiungendo le dimensioni gigantesche del Taklimakan, il Kubuqi dimostra che le soluzioni sperimentate nello Xinjiang non sono un’eccezione ma parte di una strategia nazionale in cui ecologia ed economia procedono di pari passo. Analogamente, altre regioni aride della Cina, dal Gansu all’Hebei occidentale, partecipano da anni ai programmi di riforestazione e fissaggio delle dune, contribuendo a un mosaico di interventi che ha già ridotto in modo significativo le tempeste di sabbia che un tempo raggiungevano regolarmente Pechino e le città costiere.
L’esperienza cinese può essere confrontata con altre iniziative su scala globale. In Africa la Great Green Wall, che mira a creare un enorme corridoio verde dal Senegal all’Etiopia, condivide lo stesso obiettivo strutturale: arrestare l’avanzata dei deserti e creare nuove opportunità economiche nelle zone rurali. Tuttavia procede con una velocità molto inferiore, ostacolata da instabilità politica, scarsità di finanziamenti e difficoltà tecniche.



In Medio Oriente, paesi come Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti stanno sperimentando progetti di riforestazione e stabilizzazione delle dune, ma la loro portata resta molto più limitata rispetto agli interventi cinesi, spesso circoscritti a zone urbane o a corridoi infrastrutturali. Il caso del Taklimakan si distingue dunque sia per scala sia per continuità amministrativa: raramente altrove si è vista un’iniziativa capace di coniugare gestione dell’acqua, riforestazione massiva, creazione di nuove attività produttive e coinvolgimento delle comunità locali in modo così sistematico.
Per lo Xinjiang, i benefici sono molteplici e non solo ambientali. La cintura verde stabilizza il suolo, proteggendo oasi, campi coltivati e insediamenti umani dalle tempeste di sabbia che da secoli rappresentano una minaccia costante. La riforestazione permette inoltre di avviare nuove filiere economiche basate su piante resistenti, colture medicinali, frutteti desertici e allevamenti controllati. Nei pressi del Taklimakan si stanno sviluppando cooperative agricole, aziende di trasformazione e perfino nuove forme di turismo ecologico legate all’inaspettata rinascita di porzioni del deserto. La disponibilità di infrastrutture irrigue e di energia fotovoltaica ha aperto la strada anche a sistemi di agricoltura intelligente in aree che un tempo sembravano destinate a rimanere improduttive. Il risultato è una diversificazione dell’economia locale e una riduzione della dipendenza da attività tradizionali vulnerabili al cambiamento climatico.

Il confronto internazionale rende evidente come la Cina stia costruendo un modello unico di gestione dei deserti, fondato su interventi a lungo termine e sull’integrazione tra protezione ambientale e sviluppo economico. Se iniziative come la Great Green Wall africana incarnano una grande ambizione ma con un’avanzata lenta sia pure progressiva, il Taklimakan dimostra cosa può accadere quando un progetto simile riceve continuità politica, investimenti consistenti e tecnologie adeguate. La sfida principale che resta aperta riguarda la sostenibilità idrica, poiché ogni intervento su larga scala in regioni aride richiede un’attenta gestione delle risorse. Ma nel complesso, la cintura verde dello Xinjiang offre oggi uno dei più avanzati esempi mondiali di adattamento umano ai limiti ambientali e costituisce un potenziale modello per altri territori desertici che cercano un equilibrio tra protezione della natura e crescita economica.

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