Cina, Giappone e le “enemy-state clauses”: facciamo chiarezza oltre la propaganda
In questi giorni sta circolando online la presunta dichiarazione dell’analista cinese Víctor Gao, secondo cui la Cina potrebbe addirittura “dichiarare guerra” al Giappone senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, invocando l’articolo 53 e l’articolo 107 della Carta delle Nazioni Unite. Si tratta delle cosiddette enemy-state clauses, norme risalenti al 1945 e rivolte contro gli ex Paesi dell’Asse.
Molti stanno rilanciando questa idea come se fosse una verità giuridica indiscutibile e, addirittura, c’è anche qualcuno che si meraviglia per come la dirigenza russa non abbia invocato tali norme per giustificare la guerra contro l’Ucraina considerandola, in qualche modo, erede dell' 'Atto di restaurazione dello Stato Ucraino' del 1941, di fatto un regime fascista-collaborazionista. In realtà, la questione è molto diversa — e decisamente meno esplosiva — di come viene presentata.
Gli articoli citati appartengono alla fase immediatamente successiva alla Seconda guerra mondiale. Servivano a permettere ai vincitori di intervenire rapidamente contro gli ex aggressori (Germania, Italia, Giappone) nel caso in cui avessero tentato di riprendere attività ostili, senza dover ogni volta attendere decisioni del Consiglio di Sicurezza.
Ma quelle norme, pur rimanendo tecnicamente nel testo della Carta, sono considerate da decenni superate, obsolete e prive di qualunque funzione concreta. L’ONU stessa, nella sua prassi, non le ha mai applicate dopo gli anni Cinquanta.
Per la comunità internazionale, di fatto, sono un residuo storico.
Anche qualora qualcuno volesse riesumarle, si scontrerebbe con almeno tre problemi:
- la loro funzione storica è finita: erano norme transitorie, pensate per la fase post-bellica, non per conflitti del XXI secolo;
- non esiste consenso internazionale sul loro utilizzo oggi: nessun Paese, a parte la Cina in recenti dichiarazioni retoriche, sostiene che possano giustificare un’azione militare contro il Giappone;
. esiste un principio superiore: il para 4 dell’articolo 2 della Carta ONU, che vieta l’uso della forza salvo autodifesa o autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. E questo principio prevale su qualunque interpretazione “creativa” di norme obsolete.
In pratica: nessun giurista serio sostiene che gli articoli 53 e 107 permettano a Pechino di attaccare il Giappone nel 2025.
Per quanto riguarda la presunta dichiarazione di Víctor Gao ad oggi non risultano fonti affidabili che confermino in modo chiaro che Gao abbia effettivamente dichiarato ciò che gli viene attribuito.
Quello che invece è certo è che la Cina ha citato recentemente le enemy-state clauses in alcuni messaggi diplomatici, soprattutto in risposta alla crescente assertività giapponese su Taiwan. Solo gli ingenui possono non vedere la retorica politica che questi messaggi nascondono e giudicarli invece un’analisi giuridica credibile.
Si tratta di pressioni narrative, non di un reale fondamento legale per un eventuale conflitto.
In definitiva è bene chiarire che le interpretazioni che circolano secondo cui la Cina avrebbe “diritto legale” a colpire militarmente il Giappone grazie a vecchie clausole ONU sono fuorvianti, non supportate da diritto internazionale contemporaneo e non trovano alcuna applicazione reale nella prassi delle Nazioni Unite.
Se proprio vogliamo discuterne, parliamone seriamente:
quelle norme sono pezzi di storia, non strumenti per giustificare guerre moderne.
L’ordine internazionale attuale, infatti, si basa su principi ben più solidi e chiari e ogni narrazione che suggerisca il contrario va letta come politica, non come diritto.
In breve: le “enemy-state clauses” non giustificano nulla oggi. E certamente non una guerra come quella che si combatte in Ucraina dove le motivazioni sono ben più consistenti e legittime interessando la sopravvivenza delle popolazioni di origine russa e la sicurezza dei confini della federazione messi in pericolo dall’espansionismo della Nato sempre più simile a una sorta di neocolonialismo piuttosto che un un patto di difesa tra paesi. Evidentemente la dirigenza russa non è cosi sprovveduta come qualcuno ha immaginato.
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