L’acqua come risorsa strategica nel conflitto israelo-palestinese e nel contesto idro-geologico del Medio Oriente
1. Introduzione
Il Medio Oriente costituisce una delle regioni più aride e idricamente vulnerabili del pianeta. La combinazione di condizioni climatiche estreme, crescita demografica, sviluppo urbano e agricolo intensivo ha reso l’acqua una risorsa scarsa e strategica, il cui controllo incide direttamente su equilibri politici, economici e di sicurezza. Le principali fonti idriche della regione — il Nilo, il Tigri, l’Eufrate e il Giordano — oltre ai grandi acquiferi sotterranei e ai bacini lacustri, alimentano non solo le economie e gli ecosistemi, ma anche i conflitti e le alleanze geopolitiche. In tale scenario, la gestione dell’acqua assume una dimensione eminentemente politica, legata al controllo del territorio e alla sopravvivenza delle popolazioni.
2. Israele, Palestina e il controllo delle risorse idriche
Fin dalla fondazione dello Stato di Israele nel 1948, la gestione delle risorse idriche è stata un elemento centrale nelle relazioni tra Israele e i territori palestinesi. Dopo la guerra del 1967 e l’occupazione della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza, Israele ha assunto il controllo della maggior parte delle risorse idriche della Cisgiordania mediante una serie di ordini militari — tra cui l’Ordine Militare n. 92 e l’Ordine Militare n. 158 — che hanno trasferito la competenza sulla gestione dell’acqua al comando militare israeliano e imposto l’obbligo di ottenere autorizzazioni per qualsiasi perforazione o costruzione di infrastrutture idriche.
Questa politica ha prodotto una significativa disparità di accesso: i palestinesi ricevono in media quantità d’acqua pro capite molto inferiori rispetto alla popolazione israeliana o ai coloni, spesso al di sotto della soglia minima raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (100 litri al giorno). Nella Striscia di Gaza, la crisi è ancora più grave: oltre il 90% dell’acqua disponibile risulta non potabile a causa dell’inquinamento della falda costiera, aggravato dal blocco imposto da Israele e dall’Egitto che ostacola la costruzione e la manutenzione di impianti di desalinizzazione.
Sebbene fattori ambientali e di governance interna contribuiscano alla scarsità, la maggioranza degli studi internazionali concorda nel ritenere che la struttura di controllo idrico israeliana rappresenti una componente determinante dell’attuale disuguaglianza idrica. La questione dell’acqua, quindi, non è soltanto un problema ambientale o tecnico, ma una dimensione politica del conflitto israelo-palestinese, intimamente connessa alla sovranità territoriale e ai diritti fondamentali delle popolazioni.
3. Il quadro idro-geologico del Medio Oriente
Nel contesto più ampio, il Medio Oriente presenta un sistema idro-geologico estremamente complesso e fragile. Le risorse idriche si distribuiscono in modo diseguale: i grandi fiumi, come il Nilo e il Tigri-Eufrate, garantiscono abbondanza in alcune aree, mentre altre — come la Penisola Arabica o il Levante — dipendono quasi esclusivamente da falde sotterranee e da impianti di desalinizzazione. Il cambiamento climatico accentua tali squilibri, riducendo le precipitazioni e aumentando la frequenza di siccità estreme.
Nel bacino del Nilo, la costruzione della Grande Diga del Rinascimento Etiope (GERD) sul Nilo Azzurro ha generato forti tensioni tra Etiopia, Sudan ed Egitto, che teme un calo del flusso e della sicurezza idrica nazionale. Nel sistema del Tigri-Eufrate, la Turchia ha realizzato numerose dighe nell’ambito del Southeastern Anatolia Project (GAP), riducendo le portate a valle e aggravando la crisi idrica in Siria e Iraq. Allo stesso modo, in Iran il prosciugamento del Lago Urmia rappresenta un caso emblematico di degrado ambientale dovuto a cattiva gestione e cambiamenti climatici.
Nel bacino del Giordano, condiviso tra Israele, Palestina, Giordania e Siria, le risorse sono fortemente contese. Il Mar di Galilea e gli affluenti del Giordano sono oggetto di accordi bilaterali, come il trattato di pace israelo-giordano del 1994, ma restano al centro di tensioni legate all’accesso palestinese. Israele, grazie a tecnologie avanzate di desalinizzazione e riuso delle acque reflue, ha raggiunto un’elevata autosufficienza idrica, mentre i territori palestinesi dipendono in larga parte dalle forniture israeliane, in un quadro di asimmetria strutturale.
Anche le acque sotterranee svolgono un ruolo cruciale. Il Nubian Sandstone Aquifer System (NSAS) — condiviso da Libia, Egitto, Sudan e Ciad — è uno dei più grandi acquiferi fossili del mondo e rappresenta un raro esempio di cooperazione idrica regionale, sebbene la governance resti fragile. Altri acquiferi, come quello montano della Cisgiordania o l’acquifero costiero del Golfo, sono invece soggetti a sfruttamento intensivo e rischio di intrusione salina.
4. Fattori di conflitto e sfide di gestione
I conflitti idrici del Medio Oriente derivano da una combinazione di fattori: scarsità naturale, uso agricolo intensivo, crescita demografica, politiche unilaterali e cambiamento climatico. L’agricoltura assorbe oltre il 70% dell’acqua disponibile nella regione, spesso con sistemi di irrigazione inefficienti che accentuano lo stress idrico. Inoltre, molti bacini fluviali attraversano confini internazionali senza essere regolati da accordi multilaterali vincolanti: la Convenzione ONU del 1997 sull’uso dei corsi d’acqua internazionali non è stata ratificata da diversi Paesi chiave della regione.
Le guerre e le crisi politiche aggravano ulteriormente la situazione: la distruzione di infrastrutture idriche in Siria, Iraq e Yemen, così come la frammentazione istituzionale, ha ridotto la capacità di gestione sostenibile delle risorse. L’acqua diventa così un elemento di vulnerabilità strategica e, in alcuni casi, un’arma di pressione o di controllo territoriale.
5. Conclusioni e prospettive future
La crisi idrica del Medio Oriente è, allo stesso tempo, una sfida ecologica, sociale e politica. La gestione sostenibile dell’acqua può rappresentare un terreno di cooperazione regionale, trasformando un fattore di conflitto in una risorsa condivisa. Alcuni segnali positivi provengono da iniziative recenti: l’accordo israelo-giordano del 1994, che prevede lo scambio di acqua e risorse energetiche; i progetti di desalinizzazione e produzione solare sviluppati in collaborazione tra Israele, Giordania ed Emirati Arabi Uniti nell’ambito degli Accordi di Abraham (2020); e gli sforzi multilaterali promossi da ONU, FAO, UNESCO e Banca Mondiale per la gestione integrata dei bacini transfrontalieri.
Il futuro della sicurezza idrica nella regione dipenderà dalla capacità dei governi di combinare tecnologia, diplomazia e sostenibilità: la diffusione della desalinizzazione a basso impatto energetico, il riuso delle acque reflue trattate, l’efficienza irrigua e la tutela degli acquiferi sono strumenti essenziali per affrontare la scarsità. Tuttavia, nessuna innovazione tecnica può sostituire la necessità di cooperazione politica e fiducia reciproca. In questo senso, l’acqua può diventare non solo la risorsa più contesa, ma anche la più promettente per costruire un Medio Oriente più stabile, equo e resiliente.
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