Conflitti per il controllo delle risorse idriche: un’analisi contemporanea con focus in Medioriente

 



L’acqua dolce è una risorsa essenziale per la vita, per l’agricoltura, per la produzione di energia, per l’industria, e per il sostentamento delle comunità. Con l’aumento demografico, l’urbanizzazione, la crescita della domanda agricola, i cambiamenti climatici, la pressione sull’uso delle acque sta diventando una delle fonti principali di tensione politica, economica e ambientale. In particolare, i fiumi e i laghi condivisi tra Stati, o tra regioni interne (ma con ripercussioni sociali e politiche), sono al centro di conflitti per il controllo, la distribuzione, la gestione, e l’uso dell’acqua.

I principali elementi che contribuiscono ai conflitti per l’uso delle acque includono:

Cambiamento climatico e scarsità d’acqua
Le variazioni nelle precipitazioni, le siccità prolungate, lo scioglimento dei ghiacciai, le riduzioni nei deflussi dei fiumi, l'evaporazione aumentata, riducono la disponibilità d’acqua. In bacini già marginali, il rischio è che le ridotte forniture scatenino rivalità tra regioni o Stati.
 
Crescita demografica e aumento della domanda
Una popolazione in crescita e una maggiore urbanizzazione comportano un  maggior bisogno di acqua potabile, per l'irrigazione e per l’industria. Spesso la disponibilità non cresce allo stesso ritmo, specie se le infrastrutture non sono adeguate.

Infrastrutture idriche e dighe
Costruzione di dighe, sbarramenti, deviazioni fanno cambiare la distribuzione del flusso verso valle. Queste opere possono essere viste come fonte di sviluppo da chi le costruisce, ma fonte di rischio – o danno – da chi riceve meno acqua.

Distribuzione geografica disomogenea
Gli Stati a monte (upstream) hanno più potere di chi è a valle (downstream), specialmente se controllano le sorgenti o possono modulare il flusso tramite dighe. Ciò genera squilibri che possono alimentare conflitti.

Quadro normativo debole, accordi non rispettati, mancanza di cooperazione
Molte volte esistono trattati o accordi, ma la loro applicazione è incerta, mancano meccanismi efficaci di controllo, monitoraggio, arbitrato. La fiducia tra le parti è spesso bassa.

Uso multiplo dell’acqua

Acqua per agricoltura, acqua per uso domestico, industria, generazione elettrica, turismo, conservazione ambientale: questi usi competono tra loro. In periodi di scarsità è difficile bilanciare le priorità.

In alcuni casi, com equelli che seguono, questi fattori sono già all’opera e stanno provocando tensioni, dispute diplomatiche o persino conflitti aperti.

  1. Il bacino del Nilo (Egitto – Etiopia – Sudan)
    La costruzione della Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) da parte dell’Etiopia sul Nilo Azzurro è forse uno dei conflitti idrici internazionali più osservati. L’Etiopia sostiene che la diga sia fondamentale per lo sviluppo economico e per la produzione di energia elettrica, mentre l’Egitto teme che la regolazione del flusso possa ridurre la disponibilità di acqua a valle, compromettendo l’agricoltura e la sicurezza idrica del paese. 
    Negli ultimi anni ci sono stati progressi nei negoziati, ma questioni come il regime di rilascio dell’acqua in anni di siccità, la gestione delle piene, la governance transfrontaliera rimangono fonte di forte contrasto. 

  2. Iran – Afghanistan (fiumi Helmand e Harirud / Hirmand e Hari/Tejen)
    Questo è un conflitto meno noto al grande pubblico, ma molto significativo. L’Helmand è vitale per le comunità iraniane nella regione del Sistan, e i trattati prevedevano consegne minime da parte afgana. Tuttavia, nei periodi di siccità, e a causa di operazioni di dighe in Afghanistan, l’Iran accusa il vicino di non rispettare gli obblighi, aggravando la crisi idrica dell’interno. 
    Anche il fiume Harirud/ Hari/ Tejen è fonte di tensione, con infrastrutture che modificano i deflussi, preoccupazioni per la qualità dell’acqua, uso agricolo, ecc. 

  3. Trattato delle acque dell’Indo (India – Pakistan)
    Il Indus Waters Treaty è spesso citato come esempio positivo di cooperazione duratura, anche in momenti di forte tensione politica. 
    Tuttavia, negli ultimi anni ci sono state critiche e pressioni per modifiche, accuse di non-condivisione dei dati, proposte di nuove dighe o operazioni che possano ridurre o controllare il flusso verso la parte dipendente. Queste azioni generano preoccupazione per la sicurezza alimentare, per l’irrigazione, per l’energia, soprattutto in Pakistan. 

  4. Conflitti interni in India: Cauvery / Kaveri (Karnataka vs Tamil Nadu)
    All’interno dello stesso Stato federale, ma con grandi effetti sociali, il fiume Kaveri è oggetto di disputa tra Karnataka e Tamil Nadu per la condivisione dell’acqua. In periodi di scarsità, la parte upstream ha ridotto il rilascio dell’acqua, e vi sono state proteste popolari, ordinanze giudiziarie, interventi della Corte Suprema. 

  5. Altri bacini a rischio / potenziali flashpoint

    1. Il bacino del Tigri-Eufrate, con Turchia, Siria, Iraq: dighe in corso, modifiche dei flussi, scarsità crescente. 

    2. L'Africa conta 66 bacini fluviali transfrontalieri, tra cui il bacino del Nilo e i bacini del Giuba-Shebelle e del Lago Turkana nel Corno d'Africa. Il rischio di conflitti può aumentare con la crescita demografica, l'intensificarsi dell'uso dell'acqua e i cambiamenti climatici. 

  6. Laghetti, bacini interni, laghi che si restringono
    Anche i laghi e bacini interni (non necessariamente condivisi tra Stati) sono al centro di conflitti locali o tensioni sociali: riduzione dei livelli delle acque, uso per irrigazione, salinizzazione, degrado ambientale, perdita di pesca e biodiversità. L’esempio dell’Aral Sea è paradigmatico: lago che si è drasticamente ridotto per deviazioni dei fiumi che lo alimentavano per uso agricolo. 
    Anche laghi più piccoli diventano “scatole” di conflitti locali: chi ha accesso, chi paga per la mitigazione, chi subisce gli impatti (erosione, inquinamento, perdita di fauna, salinizzazione delle acque residue, problemi sanitari).


I conflitti in corso riflettono una serie di aspetti  giuridici, politici e sociali che rendono complicata la ricerca di una loro risoluzione.

Alcuni fiumi e laghi transfrontalieri sono regolati da trattati storici (es. Indus Waters Treaty) o accordi multilaterali ma spesso questi accordi non contemplano tutti i futuri scenari (es. cambiamenti climatici, variazioni dei flussi, nuovi usi), oppure non prevedono sanzioni o meccanismi di risoluzione efficaci.

Nel diritto delle acque internazionali, si cerca di bilanciare il principio che lo Stato a valle abbia diritto a una certa quantità d’acqua, con quello che lo Stato a monte abbia il diritto di sviluppo. L’equità, la ragionevolezza, la non causazione di danni significativi sono principi-cardine. Ma nella pratica spesso sono in conflitto.

Gli Stati che controllano sorgenti o dighe a monte possono esercitare potere significativo, ma il rischio è che impongano unilateralmente decisioni dannose per i Paesi a valle, generando tensioni. Cooperare richiede fiducia, trasparenza nei dati idrologici, meccanismi condivisi di monitoraggio e gestione congiunta.
La riduzione dei flussi provoca perdita degli habitat, diminuzione della biodiversità, salinizzazione, desertificazione; per le popolazioni locali, perdita dei mezzi di sussistenza, migrazioni forzate, conflitti interni; per l’economia, danni all’agricoltura, al turismo, alla pesca.
L’acqua, infine,  può diventare arma diplomatica. Minacce, propaganda, politiche nazionaliste. A volte conflitti militari o spartizioni diplomatiche avvengono attorno a progetti di dighe, deviazioni, modifiche infrastrutturali.

Il Medio Oriente è tra le aree più aride e vulnerabili del pianeta. La scarsità idrica si intreccia con fattori politici, economici e demografici, trasformando l’acqua in una risorsa strategica e spesso contesa. I fiumi transfrontalieri come Tigri, Eufrate, Giordano, Helmand e Harirud, insieme ai laghi in contrazione (Urmia, Mar Morto), sono diventati epicentri di conflitti che influenzano la stabilità regionale.

1) Bacino Tigri–Eufrate Il sistema nasce in Anatolia e scorre verso Siria e Iraq. Le grandi dighe turche del GAP (Southeastern Anatolia Project) hanno ridotto la portata verso valle, causando in Iraq crisi agricole, salinizzazione e intrusione marina nello Shatt al-Arab. Le tensioni diplomatiche sono costanti, con accuse di “arma dell’acqua” usata da Ankara.

2) Bacino del Giordano e il Mar Morto Il Giordano è condiviso tra Israele, Giordania, Siria, Libano e territori palestinesi. L’uso intensivo per irrigazione e approvvigionamento urbano ha ridotto drasticamente il deflusso verso il Mar Morto, che si è abbassato di oltre 30 metri in pochi decenni. Accordi parziali (es. Israele–Giordania) hanno migliorato l’approvvigionamento, ma le tensioni politiche legate alla questione palestinese ostacolano una gestione pienamente cooperativa.

3) Regione del Sistan (Helmand e Harirud) Il fiume Helmand nasce in Afghanistan e scorre verso l’Iran, dove alimenta la regione del Sistan, tra le più aride e fragili. Un trattato del 1973 obbliga Kabul a garantire all’Iran un deflusso minimo annuo, ma l’Afghanistan sostiene che la siccità e le nuove dighe (in particolare la diga Kajaki e altri progetti recenti) rendono difficile rispettare tali impegni. L’Iran accusa l’Afghanistan di non onorare l’accordo, aggravando la desertificazione e la crisi agricola del Sistan. Il fiume Harirud (Hari/Tejen), che scorre tra Afghanistan, Iran e Turkmenistan, è ugualmente fonte di tensioni. La costruzione della diga di Salma (ribattezzata “India–Afghanistan Friendship Dam” perché realizzata con supporto indiano) ha sollevato preoccupazioni iraniane per la riduzione dei flussi e per gli effetti ambientali. Le tensioni idriche tra i due Paesi hanno già portato a scontri armati di confine (come nel 2023) e rappresentano una minaccia crescente alla stabilità bilaterale.

4) Fiumi minori strategici
Yarmouk (Giordania–Siria): ridotto dalle guerre e dalla siccità, al centro di negoziati difficili.
Shatt al-Arab (Iran–Iraq): riduzione dei flussi e intrusione marina colpiscono direttamente Basra e i suoi abitanti.

5) Laghi e bacini interni
Lago Urmia (Iran): si è ridotto di oltre il 70% negli ultimi decenni per deviazioni idriche e siccità, causando salinizzazione e crisi ambientali.
Mar Morto: il livello cala di circa un metro all’anno; i progetti di interconnessione (es. “Red–Dead Project”) avanzano con difficoltà.

Conclusione

I conflitti per il controllo dell’acqua di fiumi e laghi non sono un fenomeno marginale o futuristico: sono già in corso e rischiano di intensificarsi. La disponibilità di acqua dolce, la sua qualità, la capacità di assicurare accesso equo sono elementi essenziali non solo per la sopravvivenza ma per la stabilità regionale, la pace, la sicurezza economica e sociale. Se la comunità internazionale vuole evitare che queste tensioni degenerino fino al conflitto armato o alla crisi umanitaria, è necessario un approccio proattivo basato su cooperazione, trasparenza, accordi giuridicamente vincolanti e infrastrutture resilienti, tenendo ben in conto il cambiamento climatico.


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